Chiusura Sinodo Diocesano Riflessioni del vescovo al termine del Sinodo

13/05/2016

“Cosa è successo in questi mesi del Sinodo?” A questa domanda, posta all’inizio delle Riflessioni al termine delle Assemblee sinodali donate alla Chiesa di Nola, mons. Benimino Depalma risponde con le parole usate da Paolo VI al termine dell’ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II: “Abbiamo imparato ad amare di più”, scelte anche per indicare il tema del festa diocesana che questa sera chiuderà il percorso di discernimento ecclesiale. Come il Concilio, il sinodo diocesano si è occupato “principalmente della Chiesa: “Questa secolare società religiosa,  che è la Chiesa, – sottolinea ancora Depalma, attraverso Paolo VI – ha cercato di compiere un atto riflesso su se stessa, per conoscersi meglio, per meglio definirsi, e per disporre di conseguenza i suoi sentimenti ed i suoi precetti. È vero. Ma questa introspezione non è stata fine a se stessa, non è stata atto di pura sapienza umana, di sola cultura terrena; la Chiesa si è raccolta nella sua intima coscienza spirituale, non per compiacersi di erudite analisi di psicologia religiosa o di storia delle sue esperienze, ovvero per dedicarsi a riaffermare i suoi diritti e a descrivere le sue leggi, ma per ritrovare in se stessa vivente ed operante, nello Spirito Santo, la parola di Cristo, e per scrutare più a fondo il mistero, cioè il disegno e la presenza di Dio sopra e dentro di sé, e per ravvivare in sé quella fede, ch’è il segreto della sua sicurezza e della sapienza, e quell’amore che la obbliga a cantare senza posa le lodi di Dio”.

Parole piene di un immenso amore per la Chiesa e che mons. Depalma riprende per sottolineare con forza che il Sinodo della Chiesa di Nola non è stato un momento di autocelebrazione ma un momento nel quale “raccolti nel cenacolo, abbiamo riconosciuto la presenza del Risorto in mezzo a noi”. Una prezenza che ha ricordato che “Annunciare il Vangelo di Cristo  – scrive Depalma citando Papa Francesco – non è una scelta tra le tante che possiamo fare, e non è neppure una professione. Per la Chiesa, essere missionaria non significa fare proselitismo; per la Chiesa, essere missionaria equivale ad esprimere la sua stessa natura: essere illuminata da Dio e riflettere la sua luce. Questo è il suo servizio.”

Un testo denso d’amore per la Chiesa che guida dal 1999 quello di mons. Depalma, pregno della paternità che ha caratterizzato il suo ministero episcopale, freccia puntata verso la direzione giusta che il suo cuore vorrebbe che i figli seguissero: “Ci siamo riscoperti – sottolinea Depalma – anche noi “come la luna” – per richiamare un’immagine ecclesiologica cara ai Santi Padri – la quale non riflette di luce propria, ma assorbe e rifrange la luce dal sole. Pertanto, guardando alle apparizioni post-pasquali del Signore Risorto vorrei proporvi alcune riflessioni lasciandomi guidare dal racconto dell’evangelista Giovanni al capitolo 20, 19-29: è l’incontro tra Gesù e la comunità del cenacolo la sera di quello stesso Giorno, il “giorno della luce”.

In cinque passaggi Depalma evidenzia l’importanza comunitaria dell’esperienza di fede, la potenza della comunione quale generatore di luce, di contagio del mondo con l’Amore per Cristo. Parte da Tommaso, dall’apostolo incredulo per mettere in evidenza il rischio, “…la tentazione di bypassare la chiesa, di mettere direttamente “le mani su Gesù”; una variante della consueta espressione: “Cristo sì, chiesa no”. Tuttavia (Tommaso) rimane nei paraggi del cenacolo, accetta la sfida, e incontra il Risorto che lo invita a passare dall’incredulità alla fede. È interessante anche sottolineare che Gesù per incontrarlo attende otto giorni. La chiesa delle origini forse in questo vuole lanciare un messaggio preciso ai discepoli di allora e ai cristiani delle epoche successive: l’incontro con il Signore non ha mai una dimensione intimistica, è sempre un incontro che facciamo immersi nel corpo della comunità; nelle pieghe della storia e anche nelle piaghe di questa Chiesa”. Una comunità che però deve avere sempre porte e finestre aperte ” I discepoli – scrive Depalma – si erano rinchiusi proprio nel cenacolo: ancorati ai segni della comunione, custodendo negli occhi il ricordo della lavanda dei piedi e della frazione del Pane, ma incapaci di attuarli nella prassi di vita. Non è forse questa una triste fotografia della stagione ecclesiale che stiamo vivendo? È la tentazione di una Chiesa – lo abbiamo compreso nel Sinodo – troppo chiusa nella dimensione sacrale e celebrativa della fede. La Sacrosanctuum Concilium ci aveva ricordato il legame intrinseco con la celebrazione del mistero che si realizza nel culto all’uomo vivente”.

Dal Mistero alla vita dunque per evitare il paradosso del cenacolo chiuso, “Il grande paradosso  – continua Depalma – di una comunità che ha perso il senso della sua missione. I destinatari dell’annuncio, «Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10, 6), sono diventati il motivo della paura e della chiusura. Quante volte nel Sinodo è emersa la tentazione di guardare al mondo non con la simpatia alla quale ci ha educato il Concilio Vaticano II, ma con la preoccupazione di combattere una battaglia con la gente o con le derive della modernità.  Dal Sinodo abbiamo capito che l’atteggiamento giusto non è quello delle “guerre di religione”, ma uno sguardo simpatico con l’umanità rifiutando e vincendo quelle paure che generano chiusure. Guardare con simpatia il mondo, andare incontro alla storia, un presupposto della stagione conciliare che ancora purtroppo non abbiamo preso sul serio. Troppo preoccupati a mantenere gli assetti interni, non ci accorgiamo che i destinatari dell’annuncio restano fuori e anche dentro si perdono i vari “Tommaso”, i cosiddetti lontani, che fanno fatica a credere. Recuperare l’immagine del cuore aperto alla simpatia verso la storia, una Chiesa in uscita nella direzione e nello stile indicati da Gaudium et spes e dal recente magistero di Papa Francesco e della Conferenza episcopale italiana”.

I tempi di oggi chiedono comunione e chiedono comunità: “«Gli dicevano gli altri discepoli: “abbiamo visto il  Signore”» (Gv 20, 25). La tentazione di Tommaso – scrive Depalma – era invece quella di mettere direttamente le mani su Gesù. Mentre gli altri discepoli gli narravano l’incontro comunitario con il Signore, egli manifesta la pretesa di mettere mano autonomamente su un corpo che ha presente solo nella sua immaginazione remota, qualcosa di non più vivo e operante, ma relegato alla sfera dei ricordi personali. Persiste questo dramma anche ai nostri tempi. K. Rahner affermava che la più grande eresia dei nostri tempi è quella ecclesiologica e cioè la perdita della coscienza ecclesiale. Da un lato lo sforzo delle comunità parrocchiali ad annunciare attraverso i sacramenti e la catechesi la presenza viva di Cristo e dall’altra tanti battezzati che non frequentano più o molto la comunità, ma di tanto in tanto sono convinti che “basti la preghiera personale” a rimanere in un rapporto vivo con il Signore e invece si ritrovano a vivere un mero esercizio introspettivo o un isolato orientamento religioso. Anche la richiesta dei sacramenti diventa una scelta “familiare” e “tradizionale”, piuttosto che un cammino con l’intera comunità cristiana. È la grande sfida alla quale sono chiamate le nostre parrocchie, recuperare l’urgenza di formare alla fede e non alla religione”.

Il Sinodo chiama la Chiesa di Nola ad un quotidiano “convenire insieme” per realizzare l'”uscire insieme” perchè si traduca in “camminare avanti”: “Ancora aperta alla provvidenza, la Chiesa di Nola -conclude Depaplma – deve preservare e non perdere di vista, lungo la strada imperscrutabile dell’applicazione del Sinodo, una meta alta: divenire una profezia vivente. Siamo abituati a pensare ai profeti come a singoli uomini straordinari, isolati e spesso respinti dal mondo. Io sogno invece che la profezia emerga da uno stile di vita comunitario e ordinario in cui si intraveda amore e fedeltà al Vangelo. Una profezia affascinante per tutti, visibile dagli occhi di ogni battezzato, che dall’altare esplode e giunge nelle case, nelle strade, nelle piazze reali e virtuali, tra i banchi di scuola e sui tavoli da lavoro. Ecco il progresso autentico e la crescita che intravedo per la mia amata chiesa di Nola e per la quale continuo ad offrire oggi e sempre la mia vita e la mia preghiera”.

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